mercoledì 4 dicembre 2013

UMANITA' E ANIMALITA' 


"Temo che gli animali vedano nell'uomo un essere loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale: vedono ciè in lui l'animale delirante, l'animale che ride, l'animale che piange, l'animale infelice" ( Friedrich Nietzesche, La gaia scienza) 



I rapporti fra uomo e animale nella loro complessità esprimono sentimenti ambigui: rifiuto e attrazione, identificazione e derisione, affetto e odio, protezione e desiderio di distruzione…

Lévy-Srauss1 afferma che l'animale oltre a essere "buono da mangiare", è anche "buono da pensare".

Il pensiero occidentale si è impegnato in maniera furiosa e persistente, senza tuttavia mai giungere a successi definitivi, a negare o rimuovere la propria componente animale, allo scopo di considerarsi un essere solo razionale.
Molti sono i poeti che hanno scritto testi, aventi come oggetto gli animali e dove spesso un sentimento profondo di empatia e di identificazione viene mirabilmente espresso.

Valgano per tutti questi versi di Pablo Neruda 2:

“Un piccolo animale,

 maiale, uccello o cane
 abbandonato,
irsuto tra penne o pelo
,

 ho udito tutta la notte,
 febbricitante, gemente.

Era una notte lunga
e a Isla Negra, il mare
scuoteva tutti i suoi tuoni, la ferramenta,

 le tonnellate di sale, i suoi vetri rotti
 contro la roccia immobile.

Il silenzio era aperto e aggressivo

 dopo ogni colpo o cataratta:

Il mio sonno si cuciva
come filando la notte ininterrotta

 e allora il piccolo essere peloso,
 orso piccino o bimbo infermo,

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soffocava o aveva febbre,
piccolo fuoco di dolore, gemito

 contro la notte immensa dell'oceano,
 contro la torre nera del silenzio,
un animale ferito,
piccolino,
appena sussurrante
sotto il vuoto della notte,
solo.”


(Pablo Neruda, da Il mare e le campane, Passigli, 2001)

Si noti come Neruda non dia importanza alla natura dell’animale, nel primo verso, infatti, parla di “un animale”, e nel secondo emerge ancor più la genericità di questo: “ maiale, uccello o cane”. Egli, dunque, sottolinea non l’aspetto esteriore, bensì il sentimento di abbandono e sofferenza provato da questo essere indeterminato. La tempesta, il mare in burrasca ed il vento di Isla Negra e la condizione del poeta sono in empatia con l’animale. La precarietà della vita e la sofferenza affliggono allo stesso modo sia il poeta che l’animale indefinito. Neruda non utilizza una metrica precisa, si hanno quettro strofe ognuna delle quali presenta una lunghezza differente, analogamente i versi non seguono regole metriche

L’empatia è una forma di conoscenza e di comunicazione con chi è diverso e ha a che fare con una particolare modalità di "sentire l'altro". Il processo di conoscenza avviene coinvolgendo il corpo, le emozioni e la vita della "mente", lasciando sullo sfondo la razionalità. Secondo la scienza anche gli animali possiedono, accanto a rudimentali abilità cognitive, una "psiche" che fa loro vivere emozioni come il dolore, l'angoscia, lo stress e persino l'amore. L'empatia, come ogni altra forma di comunicazione, per non scomparire ha bisogno di essere costantemente esercitata. Gli artisti, che nutrono la propria creatività con il contatto con quella parte di mondo originario primordiale, tengono aperto il canale di comunicazione empatizzando con il mondo animale.

E anche un pensatore come Nietzsche, prima di cadere definitivamente nella follia, ha riservato il suo ultimo gesto di solidarietà e comprensione a un cavallo maltrattato, abbracciandolo e baciandolo.

Il testo che segue di Kikuo Takano3, poeta giapponese, testimonia in modo esemplare l'essenza umana che è presente nell'animale e viceversa:

LE MANI GIUNTE


“Quando la scimmia col suo piccolo in braccio
 corre sconvolta ma non fa in tempo
a fuggire, né trova il suo rifugio,
verso chi le punta il fucile

giunge le mani e implora

di lasciarla andare, di salvarla,

 piangendo disperata, strofinandosi
le mani con tutte le forze.
Il suo gesto nel chiedere pietà
Al cacciatore, è come quello dell'uomo.


Per quanto esperto, il cacciatore di scimmie 

Non se la sente allora di sparare.
"Su, fuggi fa presto!"Chiusi gli occhi 

scoppia a piangere - così ci racconta.

Sebbene non ricordi più il nome
del vecchio che mi ha raccontato
con amarezza quel suo lugubre lavoro

 dicendomi di non voler più affrontare,
 né in campagna né sui monti,
la tragedia del cacciatore di scimmie,

 non posso scordare le mani giunte della scimmia,
 quel tremolio di mani che ad altre somigliano.”

( Kikuo Takano, Nel cielo alto. Mondadori 2003) 


Kikuo Takano in questo testo affianca amabilmente la condizione dell’uomo e della scimmia. La scimmia giunge le mani ed implora di essere lasciata andare insieme al suo piccolo che porta in braccio, comportamento tipicamente umano, lo afferma anche l’autore stesso al v.10. Il cacciatore a tale scena si commuove, esortando la scimmia a fuggire. L’uomo probabilmente è rimasto impressionato dalla strabiliante somiglianza tra le mani dell’uomo e della scimmia, ciò ha provocato in lui una profonda riflessione, causando la tramutazione della scimmia davanti ai suoi occhi, ciò è espresso mirabilmente negli ultimi versi “ quel tremolio di mani che ad altre somigliano”...


Claude Lévi-Strauss ( Bruxelles, 28 novembre 1908-Parigi, 30 ottobre 2009) è stato un antropologo, psicologo e filosofo francese. Tra i suoi contributi alla psicologia scientifica ci è l’applicazione del metodo d’indagine strutturalista agli studi antropologici.

Pablo Neruda ( Parral, 12 luglio 1904 - Santiago, 23 settembre 1973) è stato un poeta cileno. viene considerato una delle più importanti figure della letteratura latino americana contemporanea.
Kikuo Takano ( Isola di sado, 20 novembre 1927, - 1 maggio 2006) è stato un poeta e matematico giapponese.

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giovedì 31 ottobre 2013

L'ORDINE CHE NOI NON CERCHIAMO 



( Composizione VII, Kandinsky 1913) 



Perché l'universo è ordinato? Come s'impone la regola a ciò che è irregolare, la forma alla materia? Quale l'origine del fatto che il nostro pensiero si ritrova nelle cose? Questo problema, che è diventato nei moderni il problema della conoscenza, dopo essere stato, negli antichi, il problema dell'essere nato da un' illusione dello stesso genere. Esso  svanisce se si considera che l'idea di disordine ha un senso definito nel dominio dell'attività industriosa umana o, come noi diciamo, della fabbricazione, non in quello della creazione. Voi non potete sopprimere un ordine, neanche con il pensiero, senza farne sorgere un altro. Se non vi è finalità o volontà, vi è meccanismo; se il meccanismo cede, è a profitto della volontà del capriccio, della finalità. Ma quando vi aspettate uno di questi due ordini e vi trovate l'altro, voi dite che vi è disordine, formulando ciò che in termini di ciò che potrebbe o dovrebbe essere, obiettivando, così il vostro rammarico. Ogni disordine comprende pertanto due cose: al di fuori di noi, un ordine.; in noi, la rappresentazione di un ordine differente che solo ci interessa. Soppressione significa, dunque, ancora sostituzione. E l'idea di una soppressione di ogni ordine, cioè di un ordine assoluto, contiene, allora, una contraddizione autentica, poiché essa consiste nel non lasciar più che una sola faccia all'operazione che, per ipotesi ne comprenda due. O l'idea di disordine assoluto non rappresenta che una combinazione di suoni, flatus vocia, o, se corrisponde a qualcosa, traduce un movimento dello spirito che salta dal meccanismo alla finalità, dalla finalità al meccanismo, e che, per segnalare il posto in cui è, preferisce indicare ogni volta il punto in cui non è. Dunque, nel voler sopprimere l'ordine, voi ve ne date due o più. Come dire che la concezione di un ordine, che sopravvenga ad una "assenza di ordine", implica un'assurdità, e che il problema svanisce. 

( tratto da " Il possibile e il reale" di Henri Bergson" )


martedì 8 ottobre 2013

OCCHI



Guardare, non vedere,
l'immaginazione va oltre gli occhi...







lunedì 23 settembre 2013


EL CAMINO DE SANTIAGO, EL CAMINO DE LA VITA!





Quell’aria fredda sulla faccia appena fuori dal rifugio e i primi passi con la prima luce del giorno accompagnano i silenzi dei primi chilometri.
Ripensi al sassolino nella scarpa che avevate tu e Benedetta quando decideste di partire insieme lo scorso anno. Ripensi alla fortuna che avesti ad incontrare Marco, Andrea, Carim ed Andrea che con la luce dei loro occhi mentre parlavano, ti convinsero a leggere anche la prima parte di quello che è “El Camino de la Vita”, vivendolo partendo dall’inizio, da Saint-Jean-Pied-de-Port. Mai smetterai di ringraziarli. Ripensi ai motivi emersi, visibili, dicibili che ti hanno portato ad intraprendere quest’avventura, ma, solo lungo il Cammino hai potuto scoprire la sorgente segreta, sommersa nel profondo cuore, per cui sei partita: un Immenso desiderio.

Quel fascio di luce che pian piano si leva da Oriente ed accarezza il tuo visto, il sole, che per un mese non ha mai tardato a levarsi per illuminarti la giornata. 
Il sole che ti ha scaldato il cuore, sciogliendo vecchi rancori inutili e dannosi, quando sono tornati alla mente pensieri aggrovigliati. 

Quella fonte di acqua fresca, pronta a dissetarti quando le labbra sono arse dalla sete. Ma quella sete, quella del cuore, dell’anima non può essere soddisfatta dalla sola acqua. 
Quel desiderio autentico di amare e di essere amati, il bisogno di essere riconosciuti per quello che siamo così come siamo e non per quello che facciamo.

Quel bastone che ti sorregge e ti accompagna da centinaia di chilometri sostenendomi nei momenti di sconforto e percuotendomi quando stavi sbagliando. Quel bastone che sono i tuoi compagni di viaggio, i tuoi amici pellegrini, Daria, Daniela, Lorenzo, Marco, Laura, Alessio, Mathieu, Saverio, Annalisa... la “Compagnia del Riso”

Quei pellegrini, sconosciuti e silenziosi, che arrivano da ogni angolo del pianeta e camminano con te, inseguendo una freccia gialla, l’amarilla! Quei pellegrini che conoscono più il verbo dare che avere, e sempre allietano i miei passi con il suono “Buen Camino”!

Quei passi che ti allontanano dal passato e si dirigono verso il futuro insegnandoti che si guarda indietro soltanto per vedere la strada percorsa!

Quel sentiero lungo e infinito, tra i boschi della Navarra, i campi di grano e girasoli delle mesetas e poi in montagna...ma con una sola direzione: la Felicità! Ma la vera felictà, quella che ti porta ad abbandonare uno star bene mediocre, tranquillo, ma non entusiasmante. Quella felicità per cui il sorriso è puro, senza filtri, senza pensieri, perchè è il cuore che parla, non la mente! 

Quella Cattedrale, che ad un tratto ti appare davanti agli occhi, quella cattedrale che è stata la tua meta sognata e desiderata per un mese di cammino, per 800 km. Quella Cattedrale che ti ha fatto piangere, piangere di felicità, di contentezza. Piangere senza vergogna.

Quell’Oceano, immenso, increspato, che ti ha impedito di andare avanti a camminare. La fine del Cammino, la fine della Tierra. 

Questo è il cammino di Santiago, tante piccole, piccolissime cose che formano un qualcosa di straordinario, di inimitabile. Tanto gioca la poetica dell’inneffabilità. Nessuna parola, nessun racconto potrà mai descrivere ciò che è. E’ irrazionale...è il linguaggio del cuore. 

lunedì 16 settembre 2013

QUANDO CERCHI IL SILENZIO TROVI IL SUONO...






La Maverick Concert Hall è un’incantevole sala da concerto all’aperto, situata poco a sud di Woodstock, nello stato di New York, edificata in stile rustico in modo da fondersi con l’ambiente naturale.

L’evento più famoso nella storia delle stagioni concertistiche alla Maverick si tenne la sera del 29 agosto 1952: la prima di 4’33” di John Cage. Il pianista David Tudor si sedette al pianoforte sul piccolo palco di legno rialzato, chiuse il coperchio della tastiera e guardò un cronometro. Per due volte nei successivi quattro minuti alzò il coperchio e lo riabbassò, facendo attenzione a non fare rumore, benché girasse anche le pagine dello spartito, che erano prive di note. Dopo che furono passati quattro minuti e trentatré secondi, Tudor si alzò per ricevere gli applausi – e fu così che venne eseguita per la prima volta una delle opere musicali più controverse, illuminanti, sorprendenti, famigerate, imbarazzanti e influenti dai tempi della Sagra della primavera di Igor Stravinskij. Naturalmente, ciò che il pubblico ascoltò durante il brano intitolato 4’33” (Quattro minuti e trentatré secondi, o solo Quattro e trentatré, come era solito chiamarlo Cage) non era puro silenzio. Diversi anni più tardi, Cage descrisse i suoni sentiti durante la performance del 1952, che si distribuirono opportunamente in tre movimenti, come avrebbe voluto la struttura del brano: «Ciò che pensavano fosse silenzio si rivelava pieno di suoni accidentali, dal momento che non sapevano come ascoltare. Durante il primo movimento si poteva sentire il vento che soffiava fuori. Nel secondo, delle gocce di pioggia cominciarono a tamburellare sul soffitto, e durante il terzo, infine, fu il pubblico stesso a produrre tutta una serie di suoni interessanti, quando alcuni parlavano o se ne andavano». Nel 1985, Cage disse a Ellsworth Snyder: «A causa di questo, persi degli amici ai quali tenevo molto. Pensavano che chiamare musica qualcosa che non sei stato tu a fare, equivalesse, in un certo senso, a gettare fumo negli occhi». E ancora: «Nessuno rise, si irritarono quando si accorsero che non sarebbe accaduto nulla, e di sicuro dopo trent’anni non l’hanno ancora dimenticato: sono ancora arrabbiati».

Questo brano nacque da un’esperienza singolare e determinante che lui stesso racconta:“All’inizio degli anni Cinquanta, presi la decisione di accettare i suoni che esistono nel mondo. Prima, ero così ingenuo da pensare che esistesse una cosa come il silenzio. Ma quando entrai nella camera anecoica della Harvard University a Cambridge, sentii due suoni. Pensai che ci fosse qualcosa di sbagliato nella stanza, e dissi all’Ingegnere che c’erano due suoni. Mi chiese di descriverli e lo feci: «Bene – disse – quello più acuto è il suo sistema nervoso in funzione e quello più grave la sua circolazione sanguigna». Questo significa che c’è musica, o c’è suono, indipendentemente dalla mia volontà”. 
Non scegli cosa ascoltare, né lo sceglie il compositore per te. Il compositore non incanala l’ascoltatore in una direzione prestabilita e così 4’33’’ ti dà la possibilità di ascoltare a prescindere dalla tua volontà, per appurare che anche il “non-suono” non coincide col silenzio. Cage stesso dice, parlando di questo brano: “L’ho concepito come un modo particolarmente immediato per ascoltare quanto c’è da ascoltare”. Si esce insomma dalla mentalità duale, secondo la quale esistono il suono o il silenzio.
Inoltre, nella dimensione della ricerca del silenzio, non puoi più scegliere tu, né il compositore. Manca l’atto della scelta e quindi manca un atto della volontà e diventi soggetto passivo rispetto all’ascolto. Rinunciando a scegliere esci dal gioco del sì/no e dalla gabbia del decidere, dalla prigione della dualità per lasciare essere la realtà quella che è.

Sarà bello nella vita cercare il silenzio perché troveremo un mondo inesplorato che ci avvicinerà al suono e alla musica e chissà a cos’altro.


( Fonti: Kyle Gann, "Il silenzio non esiste" ; Riflessioni di Gianna Fratta ) 

mercoledì 24 aprile 2013


La storia è fatta di piccoli gesti anonimi...




(106^ Brigata Garibaldi, i Partigiani della Garbatula)

Io cammino per un bosco di larici e ogni mio passo è storia; io penso: ti amo, Adriana, e questo è storia, ha grandi conseguenze, io agirò domani in battaglia come un uomo che ha pensato stanotte: « ti amo, Adriana ». Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano. Certo io potrei adesso invece di fantasticare come facevo da bambino, studiare mentalmente i particolari dell’attacco, la disposizione delle armi e delle squadre. Ma mi piace troppo continuare a pensare a quegli uomini, a studiarli, a fare delle scoperte su di loro. Cosa faranno «dopo», per esempio? Riconosceranno nell’Italia del dopoguerra qualcosa fatta da loro? Capiranno il sistema che si dovrà usare allora per continuare la nostra lotta, la lunga lotta sempre diversa del riscatto umano? Lupo Rosso lo capirà, io dico: chissà come farà a metterlo in pratica, lui cosi avventuroso e ingegnoso, senza più possibilità di colpi di mano ed evasioni? Dovrebbero essere tutti come Lupo Rosso. Dovremmo essere tutti come Lupo Rosso. Ci sarà invece chi continuerà col suo furore anonimo, ritornato individualista, e perciò sterile: cadrà nella delinquenza, la grande macchina dai furori perduti, dimenticherà che la storia gli ha camminato al fianco, un giorno, ha respirato attraverso i suoi denti serrati. Gli ex fascisti diranno: i partigiani! Ve lo dicevo io! Io l’ho capito subito! E non avranno capito niente, né prima, né dopo.

(  Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, 1947 ) 


mercoledì 10 aprile 2013



LA GARBATOLA 




Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur
Garbatola nel suo insieme è divisa in tre parti: Tri piantùn, Straguardia, Raganelle.
La prima, i Tri Piantùn, occupano la parte occidentale del paese estendendosi fino al Cucù, presso il Comune di Lainate.
La Straguardia ha inizio nel centro storico sino all’antica strada un tempo percorsa dal Gamba de Legn. E’ una regione storicamente “rossa”: non vi sono elezioni in cui non abbia vinto il centro-sinistra!
Il territorio restante è occupato dalle Raganelle, regione più vicina agli acerrimi nemici della popolazione garbatolese: i Cassinari. 
La Garbatòla è bagnata da due corsi d’acqua: il Bozzente ed il Canale Villoresi, quest’ultimo è di vitale importanza per gli abitanti del borgo in quanto scandisce il passaggio delle stagioni. La primavera potrà dirsi iniziata soltanto quando la prima goccia d’acqua toccherà il fondale del canale artificiale, mentre l’estate coinciderà con il primo bagno rinnovatore, ed infine verrà l’autunno quando le foglie gialle prenderanno il posto dell’acqua.
 Il dovere di scandire le ore della giornata, nonché il momento di sedersi a pranzo e a cena è attribuito all’imponente campanile della Chiesa di San Francesco. A lui spetta anche il triste incarico di annunciare la scomparsa dei cari compaesani: non appena le campane suonano a morto, giovani e anziani scendono in strada per domandarsi chi sia stato portato nell’Ade.
Immaginate lo stupore della popolazione garbatolese quando vide l’orologio del suo campanile squarciato da un lampo durante un temporale estivo. 
Come i Galli furono i nemici per eccellenza dei Romani, lo stesso accade tra Garbatolesi e Cassinari. I Garbatolesi si ritengono culturalmente superiori rispetto agli abitanti della frazione limitrofa e non stentano ad esaltare la loro opera civilizzatrice ogni qualvolta si recano in questo territorio. La ragione di questo astio è ignota ed è talmente radicata nell’indole garbatolese che per precauzione si invitano i fanciulli a disdegnare il gentil sesso e le donzelle a rifiutare la mano!
Nonostante Garbatola non sia Comune, pur essendolo stato sino agli ultimi anni del 1800, è rappresentata da una sorta di sindaco: il presidente del Circolo. Tale carica spetterà ad un garbatolese DOC, dunque un Rovellini, un Parini, un Pravettoni, un Carugo, un Castelli o Carcano, nessun Furesta potrà mai ambire a questa fascia. 
La prima domenica del mese di settembre è Festa Granda: la cittadina si colora di sandaline, festoni e colori, l’oratorio pullula di ragazzini felici ed anche la piazza per qualche giorno all’anno pare stupenda! Durante questi giorni coloro che sono emigrati nei paesi, nelle città o addirittura oltre confine, come le rondini al richiamo della primavera, tornano.
Le serate sono animate da liscio, rock ed anche canzoni popolari per ricordare i Partigiani della 106 Brigata Garibialdi.
La Festa porta con sé una misteriosa magia, un incantesimo, tanto che i più giovani ritengono che essa sia “la stagione degli amori”!

mercoledì 3 aprile 2013





Un raggio di Sole
per farle spuntare, Lentiggini
Quante? Non è dato a sapersi.
Infinite,
Stelle sul viso di una lieta giornata. 


venerdì 29 marzo 2013


BELLEZZA



Kalòs kài agathos, sono i caratteri della bellezza secondo la concezione greca antica, dunque “bello” e “buono”.  
I tratti fondamentali dell’eroe omerico, donati dalla divinità, sono bellezza, forza, onore e coraggio. Il valore del corpo, la prestanza fisica sono utili alla lealtà, alla virtù, in quanto l’estetica presenta l’etica. Si può notare come l’identità tra bellezza e virtù permanga nella glorificazione del nudo, caratterizzante molte opere scultoree del V sec. s.C.. Il Discobolo di Mirone ne è l’emblema, costruito intorno al 455 s.C.esalta l’ideale della bellezza del corpo nudo dalle proporzioni armoniche. Mirone scolpisce un corpo d’atleta in movimento nel momento culminante dell’azione: la torsione del corpo è vigorosa e, allo stesso tempo, armoniosa e delicata, mentre il volto esprime quella pacatezza, priva di turbamento, data dalla concentrazione. L’ideale estetico classico è strettamente legato al mito di Apollo, dio del sole e della luce, protettore dell’arte poetica e profetica. La bellezza  quale sole che illumina - trasfigura colui che ne viene investito; il bello è un valore che si irradia nello spazio e nel tempo, travolgendo le coscienze di coloro che sanno riconoscerlo. 
Platone articola le prime riflessioni sul bello legandolo all’armonia e all’ordine subendo l’influenza del razionalismo pitagorico. I pitagorici vedono nel numero il principio primo fondante la realtà, l’ordine e l’armonia del cosmo. Il termine stesso armonia, dal greco harmonίa, significa ‘accordo’, il che accentua il concetto di ordine numericamente esprimibile. Il bello, dunque, consiste nell’ordine matematico in grado di esprimere la simmetria visiva del cosmo nell’armonica unità composta da elementi contrari. I pitagorici dedicano ampiospazio allo studio dell’armonia musicale poiché gli accordi musicali esprimono nel modo più evidente la natura dell’armonia universale e sono quindi assunti come modello di tutte le armonie Sulla scia della concezione pitagorica, Platone farà coincidere l’idea del Bene in sé con il Vero e con il Bello al vertice di una dimensione immutabile e perfetta oltre il mondo sensibile: in un mondo, appunto, ideale.
La bellezza esistente nel mondo è copia della bellezza ideale, in grado di accendere il desiderio di intraprendere quel percorso che possa ricondurre l’uomo alla verità e al sommo bene. Attraverso l’eros, il desiderio che la bellezza sensibile accende, l’anima dell’uomo comprende come la bellezza non possa essere legata alla molteplicità sensibile particolare, ma è qualcosa che accomuna tutte le cose belle trascendendone la natura. Il desiderio di bellezza, l’amore spinge l’ascesa dell’uomo verso la sapienza autentica.
La bellezza è una sollecitazione, l’unica che in qualche modo si vede, che permette di saldare il sensibile con l’intelligibile, in quanto il Bene come idea suprema si mostra come Bello nei rapporti sensibili di proporzione, ordine e armonia a vari livelli.
In Platone il concetto di eros è connesso all'antico aristocratico ideale pedagogico della kalokagathìa (dal greco kalòs kài agathòs, tutto ciò che è bello-kalòs è anche vero e buono-agathòs, e viceversa). Dalla bellezza di un corpo si risale a quella di tutti i corpi e da qui alla bellezza delle anime e al Bello in sé, al vero bene assoluto. L'eros intellettuale del filosofo rispecchia il bene dell'uomo.

“La bellezza non è che una promessa di felicità”, quest’aforisma di Stendhal evidenzia, secondo Nietzsche, come nel fondamento dell’idea di bellezza, nella sua natura intrinseca, sia presente il suo esatto opposto, ovvero il male, il dolore, la sofferenza. I greci cantano la bellezza dell’Olimpo perché sono consapevoli della tragicità del vivere. Lo stesso mito di Afrodite narra la nascita della dea della bellezza dalla schiuma del mare, prodottasi dall’evirazione di Urano da parte di Crono, un atto di violenza e di orrore, che esprime la separazione dall’Uno originario, dalla coappartenenza di cielo e terra, di uomo e dio.
L’interpretazione estetico-sociologica del Neomarxismo del Novecento trova nell’arte uno strumento di denuncia sociale, di emancipazione e promozione umana.
La posizione di Herbert Marcuse cambia nel corso della sua produzione filosofica; a partire dagli anni ’60, infatti, l’arte perde per lui la sua funzione di libertà:
“Nel rapporto con la realtà della vita quotidiana, l’alta cultura del passato era molte cose – opposizione e ornamento, grido e rassegnazione. Ma era anche una prefigurazione del regno della libertà, il rifiuto di comportarsi in un dato modo. Tale rifiuto può essere scartato senza un compenso che sembri dare più soddisfazione che non il rifiuto stesso. Laconquista e l’unificazione degli opposti, che trova il suo coronamento ideologico nella trasformazione dell’alta cultura in cultura popolare, ha luogo su una base materiale di accresciuta soddisfazione. Questa è pure la base che permette di realizzare una travolgente desublimazione”. (H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, 1991, p. 90).
L’interpretazione estetico-sociologica del Neomarxismo del Novecento trova nell’arte uno strumento di denuncia sociale, di emancipazione e promozione umana.
La posizione di Herbert Marcuse cambia nel corso della sua produzione filosofica; a partire dagli anni ’60, infatti, l’arte perde per lui la sua funzione di libertà:
“Nel rapporto con la realtà della vita quotidiana, l’alta cultura del passato era molte cose – opposizione e ornamento, grido e rassegnazione. Ma era anche una prefigurazione del regno della libertà, il rifiuto di comportarsi in un dato modo. Tale rifiuto può essere scartato senza un compenso che sembri dare più soddisfazione che non il rifiuto stesso. Laconquista e l’unificazione degli opposti, che trova il suo coronamento ideologico nella trasformazione dell’alta cultura in cultura popolare, ha luogo su una base materiale di accresciuta soddisfazione. Questa è pure la base che permette di realizzare una travolgente desublimazione”. (H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, 1991, p. 90).
L’opera, del 1964, sembra disponibile alla resa a un ordine sociale che appare totalitario, che permea di sé ogni aspetto della vita dell'individuo e, soprattutto, che ha inglobato anche una dimensione potenzialmente e tradizionalmente anti-sistema come l’arte.

fonti: www.treccani.it

venerdì 22 marzo 2013



A DOMANI

Ti conoscevo di vista, poi ho scoperto come ti chiamavi. Mi  sembravi un tipo abbastanza violento, ma poi ho dovuto ricredermi. 

La mia relazione stava giungendo al termine, non c’era più passione, tutto si stava trasformando in abitudine e gli infiniti “tira e molla” ne erano la prova. 

Avevo voglia di cambiamento, e tutte le volte che un’amica mi parlava di te, cresceva la voglia di incontrarti. 

C’era, però, un altro spasimante in quel periodo, spasimante con il quale avevo avuto a che fare nei caldi pomeriggi primaverili degli ultimi tre anni di Liceo. Ci sarebbe potuto essere del feeling con lui, ma a lungo andare ne sarei rimasta provata, sicuramente.

Così decisi di incontrarti. 

Non ricordo esattamente come andò il nostro primo incontro, senza dubbio mi dimostrai ampiamente imbranata, quante figuracce, ma nonostante questo ci ci siamo visti e rivisti per un anno, e piano piano qualcosa in me si stava riaccendendo, o forse stava iniziando a bruciare per la prima volta. 
Ci fu, poi, una rottura che ci portò a rimanere lontani per molti mesi. Ero confusa, volevo addirittura cancellarti dalla mia mente. 

L’incontro estivo con i fantasmi, o meglio con il fantasma, del passato mi riportò apparentemente sulla strada percorsa per molti, moltissimi anni, del resto è difficile abbandonare definitivamente qualcosa  al quale ti sei donata per anni.

L’inversione di rotta, però, l’ebbi la scorsa estate, uno sconosciuto, che poi diventò presto un amico, mi convinse a riprovarci, a darti almeno un’altra opportunità, ed infatti non appena ebbi l’occasione ci siamo rivisti. 

Fu tutto completamente diverso, tornò immediatamente l’entusiasmo apparentemente perso, trovammo un buon gruppo di amici con il quale poter condividere tutto ciò ed arrivai al punto in cui vederti due sole volte a settimana non mi bastava più...fu amore! 
Rispetto, lealtà, correttezza, audacia sono i valori che quotidianamente mi stai insegnando e mi insegnerai, pero, per ancora molti, moltissimi anni.

A domani, a domani un evento che sicuramente non potremo dimenticare, a domani una nuova svolta della nostra storia!



domenica 17 marzo 2013


Questione di piedi.





Piedi nudi, come sempre. Gambe accavallate. Libro aperto sulla scrivania. Ti cade la penna, ti chini a raccoglierla e l’occhio si ferma sul segno rosso che ancora ti fa compagnia nella parte interna del piede. Probabilmente non se ne andrà mai, e forse un po’ lo speri. E’ una cicatrice di un’ampollas, come la chiamano gli spagnoli, la prima ampollas delle undici che alla fine del Cammino popolarono i tuoi piedi. Questa però è speciale, un amico perrogrino le regalò più di un cerotto, poi venne inondata da del betadine...ecco, in quel momento ebbi un’apparizione!!!. E poi quanti passi con questi piedi, tanti, tantissimi, talmente tanti che la prima cosa che facevi appena raggiunto l’albergue era quella di cercare un corso d’acqua, una fontana, un laghetto per immergere la carne bollente nell’acqua più ghiacciata. 

Il pediluvio, il pediluvio è un rito antico della tua esistenza, nato quando avevi circa otto o nove anni. Ogni mattina, non appena la casa si svuotava, i tuoi piedi finivano nel bidet, accompagnati da un getto di acqua rigorosamente bollente. Relax. Questo rituale è stata la principale causa di corse dai tempi olimpici verso la piazza e pullman mai presi. 

La corsa, la corsa, tuo sport prettamente estivo, è tutta una questione di piedi. Tallone- avampiede, tallone-avampiede, tallone-avampiede...ciò che importa è quindi avere dei talloni e degli avampiedi in buono stato.

Quanto ai talloni, il tallone sinistro fu affetto da una brutta, orribile verruca, più di dieci anni fa... ancora non sai se era più brutto quel batterio o la cicatrice che ti è rimasta. Quante maledizioni lanciasti contro quella dannata piscina, ed altrettante al medico che ti scavò un un buco di quasi un centimetro sotto il piede!

Gli avampiedi, gli avampiedi sono manifestazione di un male oscuro fino a pochi mesi fa, conosciuto poi come “alluce valgo giovanile”. Ci sono voluti un medico di base, un osteopata, due ortopedici, radiografie e risonanze magnetiche per scoprire di avere un piede pronato che porta l’infiammazione di un nervo durante gli allenamenti di kick boxing.

La kick boxing, una vera e propria droga, droga i quali effetti collaterali si riversano soprattutto sui tuoi “piedini”, vesciche di ogni colore: gialline, blu, viola e rosse, che quando spuff, scoppiano, lasciano posto a quella bella carne viva, viva perchè ad ogni passo ti ricordi di averla. Ma non puoi farne a meno e ci saltelli sopra sa vera e propria masochista.

E per ultime le dita. Ebbenesì, anche loro sono vissute, hanno una storia da raccontare. 

L’alluce è un veterano, sin dalla nascita per evitare fastidiose unghie incarnite era accerchiato da un filo di cotone, diventato adulto ha dovuto fare conoscenza anche con il podologo, ahimè! Ma non è tutto, il pollicione, quasi due anni fa, fu la star indiscussa della tua estate post maturità, con un’unghia squarciata a metà, carne tumefatta, e il compagno anulare anche lui provato dall’ira funesta di cavalletto di un motorino troppo pesante! Un’estate con un piede da rimorchio...rimorchio in tutti i sensi!

Piedi piedi...utili, indispensabili, ma un po’ troppo problematici!

giovedì 7 marzo 2013


UNA MIMOSA...



Se fossi un uomo non vorrei mai credere agli ultimi dati della Commissione Affari Sociali, che mostrano come tra le 50 000 e le le 70 000 donne, anche minorenni, vendono il loro corpo, mi farebbe schifo! Se fossi un uomo prima di un’erezione penserei al trascorso di queste donne, penserei al fatto che sono state sottratte dal loro paese d’origine con l’inganno di trovare un buon lavoro in Europa, spesso da un amico di famiglia o comunque da un uomo di fiducia. Se fossi un uomo prima di un’eiaculazione penserei alle minacce, violenze e ripercussioni sulla famiglia che tali donne sono costrette a subire se si ribellano a questa forma di schiavitù. Se fossi un uomo avrei vergogna a consegnare del denaro a quella donna guardandola negli occhi. 

Una mimosa, se fossi un uomo non regalerei una mimosa soltanto a mia moglie o alla mia ragazza, se fossi un uomo riempirei le braccia di questo fiore di campagna e ne regalerei un rametto ogni prostituta!

Donna, da donna non posso che pensare a questo male che affligge sempre più donne in tutto il mondo proprio nella Giornata Internazionale della donna.
Donne, donne che hanno lottato per i propri diritti marciando in massa a San Pietroburgo nel 1917, per poter essere libere, libere ed euguali agli uomini nei diritti, donne che ancora nel 2013, invece, sono schiave, senza identità, senza diritti! 
Donne che, silenziose, trascorrono giorni, mesi, anni, sul ciglio della stada... donne che in queste condizioni non sono donne!!

Una mimosa, da donna regalerei una mimosa ad ogni donna sfruttata, da donna cercherei di porre luce su questo argomento, questo perchè l’economia insegna che c’è offerta quanto più cresce la domanda! Da donna avrei schifo a fare del sesso o dell’amore con un uomo che si è approfittato di queste donne!

Una mimosa, inizierei con il regalare una mimosa

sabato 2 marzo 2013


"Vada con il Dottor..."



Luglio, post Maturità: “ Finalmente il mio cognome non sarà più un numero dall’ 1 al 10, avrò quello che mi merito!”

Ingenuo, ignori quel che realmente ti aspetta...

Tu non sarai mai più un numero, ma il tuo libretto sì, un numero dal 18 al 30!

Ed ancor più triste sarà il momento in cui ti renderai conto che il frutto di pomeriggi passati chino sui libri, di  serate trascorse con la lampadina della scrivania accesa ed un tazzone di  caffè accanto, di insulti di amici perché hai rinunciato ad andare a ballare per poter ripassare ancora una volta l’argomento che mai ti chiederanno, dipenderà unicamente dalla fortuna che avrai il giorno dell’esame. 
Le proverai tutte: comprerai il braccialetto, o addirittura l’elefantino, dall’amico marocchino all’ingresso dell’Università; qualsiasi sia la condizione del tempo,cercherai disperatamente quadrifogli nella lingua di prato davanti all’ingresso principale; chiederai a tua nonna, alla zia di tuo padre ed alla prozia di tua madre di accendere dieci ceri; o addirittura calpesterai una profumatissima cacca di cane ... e tutto affinché la faccia dell’assistente che ti interrogherà sia umana!

Prima che il professore pronunci il tuo nome ti informi con coloro che hanno già ricevuto il verdetto finale sulla natura degli Assistenti, quali domande hanno fatto, quali argomenti prediligono e se essenzialmente sono “stronzi”.
A quel punto inizi a sperare, inizi a sperare di avere un po’ di fortuna, un po’ come quando al Liceo pregavi in arabo che il professore interrogasse il tuo compagno di banco piuttosto che te!

“Rossi”, ecco, è arrivato il tuo momento, “ vada con il Dottor....” il professore si guarda intorno, cerca un’assistente che abbia appena accompagnato il suo oppresso a firmare il voto sul registro, e tu intanto o sei imbalsamato o muovi così talmente tanto la testa a destra e a sinistra in cerca del volto del tuo interlocutore per la prossima mezzora che rimani intontito. “Bianchi” e con un movimento del braccio ti indica la direzione che dovranno prendere i tuoi passi.

Vuota, in quel momento la tua testa è vuota, ma pesantissima. “Buongiorno” , porgi il tuo bel libretto azzurro all’assistente, consapevole che il tuo destino è ormai segnato.
Se sei una donna e l’assistente che ti siede davanti è un uomo, ritieniti fortunata, e se sei anche una bella ragazza ed hai studiato, beh...hai vinto! Se sei un uomo: palla al centro e fischio d’inizio, la partita è alla pari, sai che se riuscirai a fare il simpatico e spostare il discorso su calcio e politica ( ovviamente da buon intenditore dovrai  intuire da che parte tira il vento...altrimenti EVITA!) potrai cavartela amabilmente. 
Assistente donna e studente uomo è un’incognita. Ovvio è che se sei un gran bel ragazzo puoi stare tranquillo, lo stesso vale se sei simpatico. Ma se Madre Natura non è stata clemente con te, non conferendoti queste doti beh, sai che dovrai essere molto ma molto attento! 
Se sei donna, e Lei è donna, inizia a piangere! Neanche tua madre quando ti proibì di uscire con gli amici perché avevi girato la chiave nella serratura a mezzanotte e zero uno, anziché a mezzanotte in punto, ti sembrerà così stronza... Sai che tutto quello che dirai verrà ulteriormente specificato, sai che dovrai ricordarti tutti gli articoli a memoria, ma soprattutto sai che se la donna con cui stai parlando sta attraversando il periodo in cui è particolarmente soggetta all’influenza lunare, è finita! 

Oltre che dall’assistente, sai che sarai condizionato dal Documento ufficiale di riconoscimento universitario, alias, il libretto. Sarà un pericoloso moltiplicatore in positivo o in negativo, del voto che la tua controparte vorrà darti. 

Ti rendi conto che l’importanza delle informazioni ingurgitate in preparazione dell’esame è minima, ti rendi conto che è più importante avere una buona strategia di combattimento che dei soldati fortissimi, ti rendi conto che è soprattutto un gioco psicologico dal quale dovrai assolutamente uscirne vincente, o quanto meno perdendo dignitosamente. 

Infine sai che tutto si concluderà con una stretta di mano ed una firma ( si spera ), ma più di ogni altra cosa, prima di correre nel chiostro principale a fumare, sai che ti dovrai ricordare, in ogni caso, di tranquillizzare la prossima vittima!

E...buona fortuna, anzi, buon assistente!


domenica 24 febbraio 2013


UN DIRITTO SOGNATO DA MIGLIAIA DI GENERAZIONI...


Art. 48.2 Cost. " Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico". 


Pensate, pensa a quanti secoli di lotte, sangue e sofferenze sono serviti per ottenere un voto personale, uguale, libero e segreto!

Nell'Antica Roma lo ius suffragi consisteva nella facoltà di votare nei comitia. Però non era segreto, divenne tale solo a partire dal 135 a.C.. E gli stranieri? Gli stranieri potevano votare solo in possesso della cittadinanza cum suffragium, e dunque la maggior parte della popolazione non godeva di tale diritto. Con l'approvazione della Lex Iulia si ebbe un notevole ampliamento di questo beneficio, sino all'editto di Caracalla che con la Constitutio Antoniniana lo attribuì a tutti i cittadini LIBERI dell'Impero. 

Nel Medioevo il diritto di voto si eclissò, lasciando un notevole spazio a regimi di assolutisti.

A partire dal XVII secolo, in Inghilterra, si assiste ad una nuova rivendicazione di questo diritto, pensatori quali Locke, Hobbes, ma soprattutto Rosseau, iniziarono a parlare del c.d. "Contrat social", basato sulla democrazia diretta, unica alternativa alla monarchia. E come non prendere in considerazione la corsa verso l'uguaglianza che si verificò oltre Oceano a partire dal 1787?O ancora la Costituzione francese del 1793 che identificando esplicitamente l’universalità dei cittadini maschi e il popolo sovrano, conferì loro immediatamente il diritto di eleggere i deputati, di deliberare sulle leggi e di votare gli elettori degli arbitri pubblici, degli amministratori e dei giudici criminali e di Cassazione. 

Successivamente in Europa le legislazioni elettorali si sono per lungo tempo ispirate al principio del suffragio ristretto, stabilendo dei requisiti di reddito (suffragio censitario) o di cultura (suffragio capacitario) o combinandoli tra loro. Da un punto di vista teorico, la limitazione del suffragio si ricollegava all’idea del voto non come diritto, ma come funzione, esercitata nell’esclusivo interesse della nazione o dello Stato: in quanto tale, esso poteva essere conferito non a tutti i cittadini, ma solo a coloro che fossero nelle condizioni di poterlo proficuamente esercitare, godendo di determinati requisiti soggettivi di censo e/o di cultura.

E in Italia? In Italia sino alla proclamazione del Regno d’Italia la legislazione sarda estesa al nuovo Stato prevedeva un suffragio circa del 2%, che combinava alti requisiti di censo e di capacità, oltre al requisito di saper leggere e scrivere. Un primo allargamento del suffragio è stato operato nel 1882, che ha abbassato l’età minima da venticinque a ventuno anni ed ha ridotto significativamente i requisiti di censo a favore di quelli di capacità (l’aver compiuto con buon esito il corso elementare obbligatorio), portando il rapporto tra elettori e popolazione al 7%. Un più cospicuo allargamento del corpo elettorale (fino a circa il 23 per cento) si è avuto nel 1912, che ha introdotto il c.d. suffragio quasi universale maschile: a seguito di questa legge, sono stati ammessi al voto tutti i cittadini maschi di età superiore ai ventuno anni che avessero superato con buon esito l’esame di scuola elementare e tutti i cittadini di età superiore ai trenta anni indipendentemente dal loro grado di istruzione.

Il suffragio universale maschile vero e proprio è stato introdotto con la l. n. 1985/1918, che ha ammesso al voto tutti cittadini maschi di età superiore ai ventuno anni, nonché i cittadini di età superiore ai diciotto anni che avessero prestato il servizio militare durante la Prima Guerra mondiale.

 Il voto alla donne è stato riconosciuto, invece, con il d.lgs.lgt. n. 23/1945.

E tutte queste lotte hanno portato ad un voto PERSONALE, che proibisce quindi il voto per procura, EUGUALE, impedendo il voto plurimo, ossia la possibilità che il voto di un soggetto, per i suoi requisiti soggettivi, possa avere un valore numerico superiore a quello di un altro, LIBERO e SEGRETO, rendendo nullo ogni patto con il quale l’elettore si obbliga a votare in un certo modo!!

Tu, tu hai la possibilità di cambiare la carte in tavola soltanto con una “X”.
Tu, tu hai questo diritto senza nemmeno aver lottato.
Tu, tu soltanto per rispetto per chi ha lottato per ottenere ciò dovresti considerare tale diritto come radicato in te.

Tu, tu se non voterai dovresti soltanto vergognarti

mercoledì 13 febbraio 2013

     La "Femme fatale"


( "Il Bacio", Klimt, olio su tela, 1908, Vienna)


Vieni dal ciel profondo o l'abisso t'esprime,
Bellezza? Dal tuo sguardo infernale e divino
piovono senza scelta il beneficio e il crimine,
e in questo ti si può apparentare al vino.

Hai dentro gli occhi l'alba e l'occaso, ed esali
profumi come a sera un nembo repentino;
sono un filtro i tuoi baci, e la tua bocca è un calice
che disanima il prode e rincuora il bambino.

Sorgi dal nero baratro o discendi dagli astri?
Segue il Destino, docile come un cane, i tuoi panni;
tu semini a casaccio le fortune e i disastri;
e governi su tutto, e di nulla t'affanni.

Bellezza, tu cammini sui morti che deridi;
leggiadro fra i tuoi vezzi spicca l'Orrore, mentre,
pendulo fra i più cari ciondoli, l'Omicidio
ti ballonzola allegro sull'orgoglioso ventre.

Torcia, vola al tuo lume la falena accecata,
crepita, arde e loda il fuoco onde soccombe!
Quando si china e spasima l'amante sull'amata,
pare un morente che carezzi la sua tomba.

Venga tu dall'inferno o dal cielo, che importa,
Bellezza, mostro immane, mostro candido e fosco,
se il tuo piede, il tuo sguardo, il tuo riso la porta
m'aprono a un Infinito che amo e non conosco?

Arcangelo o Sirena, da Satana o da Dio,
che importa, se tu, o fata dagli occhi di velluto,
luce, profumo, musica, unico bene mio,
rendi più dolce il mondo, meno triste il minuto?

(Inno alla bellezza, da “I fiori del Male”, Charles Baudelaire )

Donna, fatale a ammaliatrice, è colei che incarna l’atto del sedurre, verbo che deriva dal latino sedùcere, composto da se ( che indica separazione ) e dùcere ( condurre ), propriamente separare, condurre fuori dal retto cammino, deviare dal bene. Donna che non rappresenta un’attrazione armoniosa, il cornonamento di un amore perfetto, ma una forza subdola che rompe gli equilibri e apre le ferite. In preda delle sofferenze inferte dalla seduzione sono stati i protagonisti di diverse opere letterarie nonché artistiche, i quali continuarono ad inseguirla, forse perchè la più forte attrazione è quella che deriva dalle proprie paure?

La donna di Baudelaire è bella, ed egli è consapevole dello smarrimento dell’uomo di fronte ad essa, Bellezza che in tale poesia è personificazione, metafora della donna. la Bellezza con il suo volto apparentemente amorevole, poi letale, ben riproduce il sendimento del sedotto che al tempo stesso venera e maledice l’oggetto del desiderio. Egli ne riconosce la pericolosità, ma aspira ad essere soggiogato dalla bellezza della donna fatale.
La donna fatale, però, è colei che porta alla distruzione/ dannazione il sedotto, è colei che causa sventura e perdizione. Gli effetti sono catastrofici.

Il mistero dell’universo femminile e la debolezza dell’uomo nell’esaltazione dei sensi, in ogni caso, determinano un’identificazione tra il mito della donna fatale e l’incarnazione della tentazione. 

In ambito iconografico non può non essere preso in considerazione “Il bacio “ di Klimt, nella sua arte la donna occupa un posto decisamente primario. Si noti che la figura femminile ci mostra l’intero viso con un’espressione estatica, ma tuttavia conscia,mentre il volto dell’uomo è interamente coperto. La donna assume così un ruolo di decisa superiorità rispetto all’uomo, è lei la depositaria di quel gioco amoroso che rinnova continuamente la vita e la bellezza. 

Rinnovando il mito della 2femme fatale”, la donna è l’idea stessa di eros, di quell’eros che però è a un tempo stesso anche thanatos, salvezza e perdizione.