lunedì 23 settembre 2013


EL CAMINO DE SANTIAGO, EL CAMINO DE LA VITA!





Quell’aria fredda sulla faccia appena fuori dal rifugio e i primi passi con la prima luce del giorno accompagnano i silenzi dei primi chilometri.
Ripensi al sassolino nella scarpa che avevate tu e Benedetta quando decideste di partire insieme lo scorso anno. Ripensi alla fortuna che avesti ad incontrare Marco, Andrea, Carim ed Andrea che con la luce dei loro occhi mentre parlavano, ti convinsero a leggere anche la prima parte di quello che è “El Camino de la Vita”, vivendolo partendo dall’inizio, da Saint-Jean-Pied-de-Port. Mai smetterai di ringraziarli. Ripensi ai motivi emersi, visibili, dicibili che ti hanno portato ad intraprendere quest’avventura, ma, solo lungo il Cammino hai potuto scoprire la sorgente segreta, sommersa nel profondo cuore, per cui sei partita: un Immenso desiderio.

Quel fascio di luce che pian piano si leva da Oriente ed accarezza il tuo visto, il sole, che per un mese non ha mai tardato a levarsi per illuminarti la giornata. 
Il sole che ti ha scaldato il cuore, sciogliendo vecchi rancori inutili e dannosi, quando sono tornati alla mente pensieri aggrovigliati. 

Quella fonte di acqua fresca, pronta a dissetarti quando le labbra sono arse dalla sete. Ma quella sete, quella del cuore, dell’anima non può essere soddisfatta dalla sola acqua. 
Quel desiderio autentico di amare e di essere amati, il bisogno di essere riconosciuti per quello che siamo così come siamo e non per quello che facciamo.

Quel bastone che ti sorregge e ti accompagna da centinaia di chilometri sostenendomi nei momenti di sconforto e percuotendomi quando stavi sbagliando. Quel bastone che sono i tuoi compagni di viaggio, i tuoi amici pellegrini, Daria, Daniela, Lorenzo, Marco, Laura, Alessio, Mathieu, Saverio, Annalisa... la “Compagnia del Riso”

Quei pellegrini, sconosciuti e silenziosi, che arrivano da ogni angolo del pianeta e camminano con te, inseguendo una freccia gialla, l’amarilla! Quei pellegrini che conoscono più il verbo dare che avere, e sempre allietano i miei passi con il suono “Buen Camino”!

Quei passi che ti allontanano dal passato e si dirigono verso il futuro insegnandoti che si guarda indietro soltanto per vedere la strada percorsa!

Quel sentiero lungo e infinito, tra i boschi della Navarra, i campi di grano e girasoli delle mesetas e poi in montagna...ma con una sola direzione: la Felicità! Ma la vera felictà, quella che ti porta ad abbandonare uno star bene mediocre, tranquillo, ma non entusiasmante. Quella felicità per cui il sorriso è puro, senza filtri, senza pensieri, perchè è il cuore che parla, non la mente! 

Quella Cattedrale, che ad un tratto ti appare davanti agli occhi, quella cattedrale che è stata la tua meta sognata e desiderata per un mese di cammino, per 800 km. Quella Cattedrale che ti ha fatto piangere, piangere di felicità, di contentezza. Piangere senza vergogna.

Quell’Oceano, immenso, increspato, che ti ha impedito di andare avanti a camminare. La fine del Cammino, la fine della Tierra. 

Questo è il cammino di Santiago, tante piccole, piccolissime cose che formano un qualcosa di straordinario, di inimitabile. Tanto gioca la poetica dell’inneffabilità. Nessuna parola, nessun racconto potrà mai descrivere ciò che è. E’ irrazionale...è il linguaggio del cuore. 

lunedì 16 settembre 2013

QUANDO CERCHI IL SILENZIO TROVI IL SUONO...






La Maverick Concert Hall è un’incantevole sala da concerto all’aperto, situata poco a sud di Woodstock, nello stato di New York, edificata in stile rustico in modo da fondersi con l’ambiente naturale.

L’evento più famoso nella storia delle stagioni concertistiche alla Maverick si tenne la sera del 29 agosto 1952: la prima di 4’33” di John Cage. Il pianista David Tudor si sedette al pianoforte sul piccolo palco di legno rialzato, chiuse il coperchio della tastiera e guardò un cronometro. Per due volte nei successivi quattro minuti alzò il coperchio e lo riabbassò, facendo attenzione a non fare rumore, benché girasse anche le pagine dello spartito, che erano prive di note. Dopo che furono passati quattro minuti e trentatré secondi, Tudor si alzò per ricevere gli applausi – e fu così che venne eseguita per la prima volta una delle opere musicali più controverse, illuminanti, sorprendenti, famigerate, imbarazzanti e influenti dai tempi della Sagra della primavera di Igor Stravinskij. Naturalmente, ciò che il pubblico ascoltò durante il brano intitolato 4’33” (Quattro minuti e trentatré secondi, o solo Quattro e trentatré, come era solito chiamarlo Cage) non era puro silenzio. Diversi anni più tardi, Cage descrisse i suoni sentiti durante la performance del 1952, che si distribuirono opportunamente in tre movimenti, come avrebbe voluto la struttura del brano: «Ciò che pensavano fosse silenzio si rivelava pieno di suoni accidentali, dal momento che non sapevano come ascoltare. Durante il primo movimento si poteva sentire il vento che soffiava fuori. Nel secondo, delle gocce di pioggia cominciarono a tamburellare sul soffitto, e durante il terzo, infine, fu il pubblico stesso a produrre tutta una serie di suoni interessanti, quando alcuni parlavano o se ne andavano». Nel 1985, Cage disse a Ellsworth Snyder: «A causa di questo, persi degli amici ai quali tenevo molto. Pensavano che chiamare musica qualcosa che non sei stato tu a fare, equivalesse, in un certo senso, a gettare fumo negli occhi». E ancora: «Nessuno rise, si irritarono quando si accorsero che non sarebbe accaduto nulla, e di sicuro dopo trent’anni non l’hanno ancora dimenticato: sono ancora arrabbiati».

Questo brano nacque da un’esperienza singolare e determinante che lui stesso racconta:“All’inizio degli anni Cinquanta, presi la decisione di accettare i suoni che esistono nel mondo. Prima, ero così ingenuo da pensare che esistesse una cosa come il silenzio. Ma quando entrai nella camera anecoica della Harvard University a Cambridge, sentii due suoni. Pensai che ci fosse qualcosa di sbagliato nella stanza, e dissi all’Ingegnere che c’erano due suoni. Mi chiese di descriverli e lo feci: «Bene – disse – quello più acuto è il suo sistema nervoso in funzione e quello più grave la sua circolazione sanguigna». Questo significa che c’è musica, o c’è suono, indipendentemente dalla mia volontà”. 
Non scegli cosa ascoltare, né lo sceglie il compositore per te. Il compositore non incanala l’ascoltatore in una direzione prestabilita e così 4’33’’ ti dà la possibilità di ascoltare a prescindere dalla tua volontà, per appurare che anche il “non-suono” non coincide col silenzio. Cage stesso dice, parlando di questo brano: “L’ho concepito come un modo particolarmente immediato per ascoltare quanto c’è da ascoltare”. Si esce insomma dalla mentalità duale, secondo la quale esistono il suono o il silenzio.
Inoltre, nella dimensione della ricerca del silenzio, non puoi più scegliere tu, né il compositore. Manca l’atto della scelta e quindi manca un atto della volontà e diventi soggetto passivo rispetto all’ascolto. Rinunciando a scegliere esci dal gioco del sì/no e dalla gabbia del decidere, dalla prigione della dualità per lasciare essere la realtà quella che è.

Sarà bello nella vita cercare il silenzio perché troveremo un mondo inesplorato che ci avvicinerà al suono e alla musica e chissà a cos’altro.


( Fonti: Kyle Gann, "Il silenzio non esiste" ; Riflessioni di Gianna Fratta )